sabato 20 febbraio 2010

Una brioches ma senza marmellata

Quattro giorni, questo il mio ritorno lampo in patria. Sono pochissimi, giusto un assaggio di casa. Una brioche, non la torta che vorrei.

Le cose da fare sono ovviamente tante, saluta amici, colleghi, pranzi e cene rigorosamente in famiglia. A pranzo e a cena con i miei mi sono dovuto cuccare ovviamente un po' di tv (non sono abituato, non la guardavo nemmeno quando ero in italia). Le trasmissioni più gettonate ovviamente "La prova del cuoco" e telegiornali di ogni forma e dimensione.

I telegiornali mi hanno veramente messo tristezza addosso. Non tanto le notizie di politica che tanto sono sempre uguali, ma le notizie relative alle aziende in chiusura, chi fallisce, chi pur essendo in attivo chiude per delocalizzare all'estero dove costa un terzo. Tutte cose già viste da molto tempo, la notizia è sempre la stessa cambia solo il nome dell'azienda e il numero di persone che restano col culo per terra.


Perché i governi italiani (di tutti i colori) non sono mai intervenuti contro la delocalizzazione? Domanda banale, risposta ovvia.

Perché uno zuccherificio deve fallire? Non mettiamo forse lo zucchero nel caffè tutte le mattine? Da dove lo compriamo? Dalla Cina? Per me lo zucchero è sempre stato Eridania, fin da piccolo. Ok. Sarà un'altra cosa che se ne va della mia infanzia, come i trenini Lima.


Ho trovato il tempo di andare a trovare un vecchio cliente che mi aveva chiesto degli aggiornamenti sul software gestionale (è uno dei miei prodotti). Questo cliente ha una piccola azienda, produce prefabbricati, armature in ferro per cemento armato e altre cose per l'edilizia. Ho trovato l'azienda "vuota". All'inizio non ci ho fatto caso, per il mio cervello era domenica. Poi ho pensato "no aspetta, io sono qui in ferie ma è giovedì!". Sono entrato in ufficio e dopo i dovuti convenevoli mi racconta la situazione disastrosa. Il lavoro fermo, l'ipoteca sull'azienda, azienda che ha messo su suo padre e non ha mai MAI avuto bisogno di fidi e prestiti per andare avanti. L'impossibilità di pagare il prestito e la banca che gli mette un cappio alle palle e gli dice "ok, ti vengo incontro, non ti fotto l'azienda, ma tu mi metti una bella ipoteca su casa tua". Che fai? Perdi tutto tranne le mutande o rischi di perdere anche quelle?


Conosco abbastanza bene queste zone. Ho avuto e ho ancora un po' di clienti qui.

Chi lavora con l'edilizia (vetrerie, infissi, prefabbricati),. chi con l'arredamento (legno, componentistica), chi con le minuterie metalliche, chi con il montaggio di precisione. Tutte aziende medio piccole, molto specializzate. Ognuno produce componenti che qualcun'altro assembla in oggetti più complessi, che vengono montati a loro volta in altre cose che poi finiscono sul mercato. È tutta una catena.


Il territorio qui attorno è completamente antropizzato, una casa un campo, un capannone. La vecchia casa di famiglia, il campo che lavorava una volta, l'azienda tirata su negli anni 50-60 e poi portata avanti dal figlio. Sono tutte così, o quasi.

E le strade sono tutto un via vai di furgoncini, camioncini che vanno e vengono tra queste aziende. Chi porta i pezzi da lavorare, chi prende i pezzi lavorati per portarli al prossimo stadio.

Vedere le strade quasi deserte, di giovedì pomeriggio, sentire le sofferenze del mio cliente (non le solite lamentele da imprenditore), e il resto del telegiornale mi ha messo una tale tristezza addosso che avrei voluto non essere tornato.

Giulia era venuta con me, e tornando in macchina ne abbiamo parlato un po' e ci siamo trovati con le stesse identiche idee.


Tanti negozi in giro, ma la merce non è prodotta in italia. Con che soldi la compriamo? Il mio lavoro non è vera produzione. Il mio lavoro è di supporto a chi prende un pezzo di ferro e lo fa diventare una vite o un cacciavite. Se la catena si inceppa da qualche parte, piano piano si inizia a fermare tutto. Anche il mio lavoro si fermerà.

Con un sacco di interrogativi ho ripreso l'aereo per tornare qui a Norrkoping. Un assaggio di italia e nemmeno troppo dolce.

4 commenti:

gattosolitario ha detto...

Purtroppo é cosi praticamente ovunque, in molti casi anche in Svezia. Lí dove l'economia é ancora basata sulla produzione industriale e non sui servizi avanzati.

Morgaine le Fée ha detto...

Quando mi ero iscritta all'universitá, tutti dicevano che c'era grande richiesta di chimici per produzione, ricerca e sviluppo. Sei anni dopo, quando ne sono uscita, c'erano praticamente solo posti da venditori. Mi domandavo: com'é possibile che si venda ma non si produca, qui. Poi mi dissero che la ricerca era rimasta. Adesso che India e Cina sono tecnologicamente avanti, hanno norme di manica larga su contratti di lavoro e faccende ambientali, e gli stipendi sono bassi, probabilmente anche la ricerca sará esportata lí. Mi sto chiedendo che lavoro devo reinventarmi fra una decina d'anni.
Io penso che la cuccagna sia proprio finita, ci siamo svenduti cosí a poco prezzo.

Marco ha detto...

@gattosolitario: mi piacerebbe proprio vederla una società basata unicamente sui servizi avanzati e sul commercio... ad un certo punto voglio vedere chi è quell'asino che tira fuori i soldi per far stare in piedi la baracca.
@morgaine: mi sa che il colpo gobbo l'hanno fatto quelli che all'università hanno studiato lingue orientali con specializzazione in cinese. Ma forse anche no, ormai con 150 euro ti compri un ingegnere indiano super skillato, e con 200 te lo compri che parla anche italiano. Fortuna che siamo italiani e l'arte di arrangiarsi ce l'abbiamo nel sangue.

Daniela ha detto...

Ti ho trovato sul blog di Silvia e Gabriele ed ora ti aggiungo ai miei preferiti :-)

Ah, sottoscrivo tutte le tue considerazioni su questo povero paese.
Un megasaluto da una Milano grigia, piovosa e piena di PM10.

ciao!!